La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’incidenza del lavoro in nero dell’ex coniuge sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento.
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio[1], secondo la pronuncia, presuppone l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Tale indagine dovrà valutare comparativamente le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, prendendo in considerazione: 1. il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune; 2. il patrimonio personale di ciascun coniuge; 3. durata del matrimonio ed età dell’avente diritto.
A ben vedere, l’assegno divorzile non assolve la funzione di ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ovvero quello tenuto in costanza di matrimonio, ma volge a riequilibrare il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare e personale degli ex coniugi (Cass. a SS.UU. n. 18287/2018 e Cass. n. 1882/2019).
Fatta questa doverosa premessa in punto di diritto, la Corte afferma l’incidenza della capacità economica del coniuge richiedente, seppur derivante da lavoro irregolare (c.d. lavoro nero), in sede di determinazione dell’assegno divorzile.
Qui il link al testo completo dell’ordinanza n. 5603/2020 depositata il 28 febbraio 2020.
[1] Avente una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa ai sensi dell’art. 5 c6 Legge 898/1970.