Assegno mantenimento figli: scopri tutto quello che c’è da sapere sul calcolo, la durata, la detrazione nel 730, cosa comprende, nonché gli eventuali aumenti e riduzioni nel tempo. In questo articolo completo, lo Studio Legale Fabrizi ti guida alla comprensione dettagliata del funzionamento dell’assegno di mantenimento per i figli, fornendo tutte le informazioni necessarie per gestire al meglio questa importante responsabilità. Approfondiremo ogni aspetto per garantire che tu abbia una chiara visione di come procedere e quali sono i tuoi diritti e doveri.
I genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli, e questo dovere persiste anche in caso di separazione, sia che abbiano contratto matrimonio sia in caso di convivenza. Il contributo al mantenimento dei figli può essere stabilito dal giudice durante il procedimento di separazione dei genitori (se coniugati) oppure quando i genitori si rivolgono al giudice per regolamentare i rapporti personali e patrimoniali nell’interesse dei figli (in caso di cessazione della convivenza). Il genitore che non ha il prevalente collocamento del figlio fornisce il mantenimento sotto forma di assegno mensile per coprire le spese ordinarie, come abbigliamento e acquisti di materiale scolastico oltre una quota delle spese straordinarie necessarie (attività sportive e/o ludiche, alcune spese mediche…).
L’assegno di mantenimento per i figli, o più precisamente il contributo al mantenimento, è un importo forfettario destinato ad adempiere l’obbligo legale dei genitori di sostenere i propri figli. Questo assegno può essere stabilito in accordo tra le parti o richiesto al Tribunale:
Anche senza una richiesta esplicita da parte di uno dei genitori, il giudice può attribuire l’assegno di mantenimento per tutelare gli interessi materiali e morali del minore (Cass. Ord. 14830/2017).
La finalità del mantenimento è quella di garantire la protezione del minore e, per tale motivo, l’assegno è:
L’assegno di mantenimento viene fissato quando una coppia entra in crisi e decide di separarsi. Se la coppia è sposata, la separazione può essere raggiunta attraverso una stipula di una convenzione di negoziazione assistita introdotta dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, che presuppone necessariamente un’accordo tra le parti, o mediante un ricorso al Tribunale che può essere consensuale o giudiziale.
Dopo la separazione, si può procedere al divorzio, sia esso congiunto o giudiziale, seguendo le stesse regole per il contributo al mantenimento.
Nel caso di convivenza e di figli nati fuori dal matrimonio, le parti non devono rivolgersi al giudice per definire la cessazione dell’unione. Tuttavia, se desiderano formalizzare i rapporti personali e patrimoniali con i figli, devono farlo attraverso la stipula di un accordo mediante la procedura della negoziazione assistita o, in alternativa, attraverso un ricorso al Tribunale e possono:
Prima di entrare nei dettagli matematici del calcolo dell’assegno di mantenimento per i figli, è importante precisare che non esiste un modello matematico standard. Non ci sono criteri matematici precisi per determinare l’assegno, quindi non è possibile prevedere con esattezza l’importo che il Tribunale potrebbe disporre. Tuttavia, un avvocato esperto può fornire una stima ragionevolmente accurata.
I principali fattori considerati per calcolare l’assegno di mantenimento sono:
Anche in caso di tempi di permanenza uguali, potrebbe essere necessario un assegno di mantenimento per bilanciare le capacità economiche dei genitori e coprire le spese ordinarie del genitore che riceve l’assegno. Le spese straordinarie vengono solitamente divise tra entrambi i genitori.
La condizione economica dei genitori è una variabile fondamentale. L’obiettivo è garantire il benessere del figlio, mantenendo una qualità di vita simile a quella goduta durante la convivenza dei genitori. Se c’è una notevole disparità nei redditi, il genitore con una maggiore capacità economica contribuirà in misura maggiore.
La giurisprudenza ha stabilito che il contributo deve essere proporzionale ai redditi dei genitori, tenendo conto delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita precedente.
Oltre ai redditi e al tempo di permanenza, altri fattori possono influenzare l’importo dell’assegno, come l’assegno per il coniuge, l’assegnazione della casa coniugale e altre variabili economiche rilevanti.
Nonostante le variazioni individuali, esistono alcune regole di massima:
Il Tribunale di Monza ha fornito linee guida per il calcolo dell’assegno di mantenimento, basate su situazioni reddituali medie:
Queste linee guida sono indicative e ogni caso richiede una valutazione specifica per garantire equità e tutelare il benessere dei figli.
La permanenza del minore presso il genitore non collocatario è un elemento che il giudice considera nella determinazione del contributo al mantenimento che, pertanto, generalmente non viene mai sospeso.
Un interrogativo ricorrente è il seguente: se durante le vacanze estive, per un mese intero, il bambino resta con il padre, quest’ultimo può sospendere legittimamente il pagamento dell’assegno alla madre?
La risposta è negativa.
Il contributo al mantenimento deve essere comunque corrisposto dal genitore non collocatario. Secondo la giurisprudenza (Cass. 16351/2018; Cass. 12308/2007; Cass. 99/2001), il mantenimento dei figli minori, versato mensilmente, non rappresenta solo un rimborso delle spese sostenute dal genitore affidatario nel mese specifico, ma costituisce la rata di un assegno annuale, calcolato in base alle esigenze della prole. Pertanto, anche se i figli si trovano presso il genitore non collocatario, questi non può esimersi dal corrispondere l’assegno.
Il diritto al mantenimento dei figli, a carico dei genitori, non è illimitato e termina con il raggiungimento dell’indipendenza economica degli stessi (Cass. Ord. 17738/2015). Il giudice deve valutare le circostanze specifiche che giustificano la continuazione dell’obbligo, poiché «il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, compatibili con le condizioni economiche dei genitori» (Cass. 18076/2014).
In qualsiasi momento, il genitore che è tenuto al mantenimento può richiedere la revoca dell’assegno dimostrando che il figlio ha raggiunto un livello di reddito sufficiente per l’autosufficienza.
Va precisato che l’occupazione del figlio non esclude automaticamente il mantenimento; ad esempio, un lavoro precario che non garantisce continuità non è sufficiente. Al contrario, l’ottenimento di un impiego stabile e in linea con il proprio percorso formativo pone fine al diritto al mantenimento.
Infine, il figlio che perde il mantenimento ha sempre la possibilità di richiedere un assegno alimentare (art. 433 c.c.), qualora vi siano le condizioni necessarie versando in uno stato di bisogno.
Gli assegni di mantenimento per i figli non sono deducibili dal reddito imponibile. Pertanto, è fondamentale che il provvedimento del giudice che stabilisce la corresponsione di un assegno di mantenimento a favore dell’ex coniuge e dei figli indichi chiaramente gli importi distinti per ciascuno. Se il provvedimento giudiziario non specifica quale somma sia destinata ai figli e quale al coniuge, si potrà dedurre la metà dell’importo complessivo stabilito (art. 3 D.P.R. n. 42 del 1988).
L’assegno di mantenimento concorre a formare il reddito del coniuge che lo percepisce?
Per il coniuge che percepisce l’assegno di mantenimento, questo rappresenta un reddito imponibile assimilato a quello da lavoro dipendente. Di conseguenza, deve riportare tali somme nella dichiarazione dei redditi poiché sono imponibili ai fini Irpef. È importante notare che l’assegno di mantenimento destinato ai figli non contribuisce al reddito del coniuge beneficiario nella misura indicata, o per la metà dell’importo complessivo se non vi è distinzione tra le somme destinate al coniuge e quelle destinate ai figli.
La corresponsione di un assegno una tantum concorre a formare reddito?
La somma corrisposta “una tantum” non è considerata come “reddito” e quindi non concorre a formare il reddito complessivo ai fini dell’Irpef del coniuge che la percepisce.
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